domenica 30 novembre 2014

Sordità e Autismo

Sordità e Autismo. Impariamo innanzitutto a distinguerli

Sordità. Autismo.
Due parole che spaventano, due patologie tra le più gravi nell’ambito dei disturbi della comunicazione; ma ben distinte, che quasi mai si incontrano; e che invece spesso intrecciano le proprie strade, anche se per lo più nelle ipotesi diagnostiche, patogenetiche, ed in alcuni errori interpretativi.
Venticinque anni di foniatria mi hanno consentito di vivere il mondo delle sordità infantili e quello dell’autismo in misura significativamente ampia per poter esprimere qualche opinione e qualche commento di una certa utilità pratica in tema di rapporti tra queste due forme di handicap.
A proposito, quando ci sono bambini con menomazioni sensoriali, o motorie, o cognitive, o relazionali-comportamentali, io parlo di handicap, di disabilità, utilizzando ancora questa terminologia tradizionale, che preferisco a quella più attuale, ma ipocrita, che ricorre a definizioni del tipo “diversamente abile”. Chi è affetto da sordità, o da paralisi, o da autismo, o da insufficienza mentale, purtroppo ha un deficit, un handicap, non una “diversabilità”. Evitiamo l’ipocrisia di definirlo eludendo ciò che innanzitutto lo limita, e cerchiamo piuttosto di trovargli, offrirgli e garantirgli ben altri compensi e recuperi di abilità, che non un pietoso nome alternativo ed edulcorato.
Tornando al rapporto sordità-autismo, vorrei richiamare innanzitutto l’attenzione su quanto non sia affatto difficile distinguere una situazione dall’altra. Chi veramente ha esperienza nel settore, avrà compreso subito che cosa intendo con questa affermazione. Chi ha veramente visto, diagnosticato e trattato bambini sordi e bambini autistici, avrà subito configurato nel proprio immaginario, piccoli pazienti con caratteristiche ben diverse tra gli uni e gli altri. Poiché si tratta di orientarsi, a livello diagnostico differenziale, su piccoli pazienti che nella migliore delle ipotesi giungono alla nostra osservazione poco dopo il compimento dell’anno di età, le due diverse situazioni hanno già assunto quelle connotazioni di base aventi già determinati tratti distintivi difficilmente confondibili. Raramente, pertanto, in presenza di un bambino che mostra già evidenti segni di autismo, mi affretto a prescrivere esami audiometrici. La diagnosi di autismo è soprattutto una diagnosi clinica, non strumentale. Se ho sospetti di sordità, antepongo la richiesta di indagini audiologiche a tutto il resto, ma -specularmente- in assenza di tale ipotesi diagnostica, cerco di sensibilizzare i genitori del bambino soprattutto ad una precocità di presa in carico abilitativa ed educativa in ben altre direzioni, non passanti attraverso un attardarsi ad effettuare analisi.
Un’altra distinzione che reputo opportuno segnalare, riguarda gli ipotetici nessi patogenetici tra sordità e autismo. Nei non numerosi casi di coesistenza delle due patologie nello stesso bambino, mi è capitato di sentire, in più di un’occasione, che era stato prospettato un innesco della sindrome autistica da parte dell’ipoacusia profonda. Mi sento di smentire decisamente l’esistenza di una possibilità del genere. Escludo l’esistenza di un “autismo da sordità”. La maggior parte dei sordi non ha subito e non subisce alcuna evoluzione verso l’autismo, la maggior parte degli autistici non è composta da sordi, soprattutto se per sordità classicamente intesa intendiamo la sordità da danno cocleare. Ma in ogni caso anche le forme di sordità centrale, ossia quelle da danno della via uditiva centrale o della corteccia temporale, in presenza di sindrome autistica non costituiscono che una componente del quadro clinico generale, senza identificarne né le causa né la connotazione unica.
Aggiungo anche che l’incidenza percentuale di sordi in una popolazione di autistici è numericamente sovrapponibile all’incidenza di sordi in una popolazione di soggetti non autistici.
Solo per completezza di informazione e di trattazione dell’argomento, segnalo ancora di aver visitato in alcune zone a particolare rischio di inquinamento ambientale (bambini nati da genitori che vivevano o lavoravano presso un polo petrolchimico) una maggiore quanto anomala concentrazione di bambini affetti da sordità, autismo ed altre malformazioni tra le quali la labiopalatoschisi.
Ma tutto ciò nulla toglie né aggiunge a quanto intendevo affermare, e cioè che sordità e autismo si manifestano clinicamente in maniera ben diversa e quindi facilmente distinguibile, e che, quando presenti nello stesso soggetto, costituiscono il frutto di una coesistenza al più riferibile a qualche situazione genetica rarissima che potrebbe dare un avvio comune alle due affezioni, così come potrebbe accadere in conseguenza di eventi neurolesivi neonatali (eccessiva prematurità, spesso accompaganata da emorragie cerebrali) o di embrio-fetopatie da tossici, da infezioni; ma non per un innesco dell’una nei confronti dell’altra.

Prof. Massimo Borghese

www.massimoborghese.it

mercoledì 26 novembre 2014

Quando si annunciano nuove scoperte sulle cause dell'autismo...

"Autismi" e non "autismo". "Cause" e non "causa".
Con queste puntualizzazioni intendo affermare che scoprire una cosiddetta causa genetica dell'autismo (ma sarebbe meglio dire di alcune forme di autismo) non esclude che possano essercene anche di acquisite. E le stesse alterazioni genetiche che disturbano lo sviluppo e la migrazione neuronale cerebrale, possono essere non il primo anello assoluto della catena, ma anche l'effetto successivo di altri disturbi esterni e non interni all'organismo. Vedasi al riguardo il relativamente nuovo concetto di "epigenetica", cioè di alterazioni genetiche indotte da fattori esterni.
Dunque, un minimo di buon gusto e di coerenza scientifica potrebbero far evitare di menzionare la presunta innocenza dei vaccini (che poi definirei meglio "di un certo modo di vaccinare") ogni volta che si evidenziano altre possibili cause di autismo.
Anche perchè "excusatio non petita, accusatio manifesta"... ;-)

lunedì 17 novembre 2014

Caro bambino in cammino verso l'autismo...

Caro bambino in cammino verso l’autismo,
questa lettera purtroppo non sarai tu a leggerla, ma chi probabilmente dovrà decidere per te, del tuo futuro, del tuo destino, delle tue possibilità di non cadere nel baratro verso cui sei incamminato, delle tue possibilità di trovare o recuperare la capacità di comunicare con gli altri e di esprimere le tue esigenze, i tuoi pensieri…
Oggi voglio dedicarti un augurio, mentre dentro di te sta crescendo il mostro dell’autismo, non importa se perché non hai retto ai tanti vaccini che ti hanno iniettato in corpo in quantità così esagerate e con tanta fretta, o perché nel tuo codice genetico era già scritto che ti saresti avviato subito verso questa malattia, o per entrambe le ragioni; voglio dedicarti un augurio veramente di difficile realizzazione, quasi impossibile.
Sto per augurarti infatti, che quando (e spero al più presto) almeno uno dei tuoi genitori (di solito la mamma, perché in tanti anni di esperienza e di lavoro mi sono accorto che quasi sempre sono le mamme ad essere più sensibili e più intelligenti) riferirà al tuo pediatra, che ha dei sospetti sul tuo sviluppo, che non ti vede come gli altri, che sembri più chiuso, meno attento, meno propenso a guardare la gente negli occhi, che muovi le mani sempre allo stesso modo, che ti fissi sempre e a lungo sullo stesso giocattolo (sempre che realmente qualche giocattolo ti attiri), che, insomma, sembra che te ne stai meglio in un mondo appartato…, il tuo pediatra non risponda di non preoccuparsi, che tutto si sistemerà col tempo, che “ogni bambino ha i suoi tempi”…, perché, sappi, caro piccolo cucciolo destinatario di questa mia lettera, che se il pediatra risponderà così e dissuaderà i tuoi genitori dal prendere subito iniziative per tirarti fuori dal baratro in cui stai cadendo, il tuo futuro sarà molto più difficile e incerto, e quella parola “autismo” rischierai di trovartela appiccicata addosso per sempre, o molto più a lungo, o comunque rischierai di portarti sempre qualche segno che ti renderà “diverso”.
Questo mio augurio ha in sé qualcosa di odioso, lo so, caro bambino incamminato verso l’autismo, ma sono più di venti anni che cerco di far capire a quei “dottori” chiamati pediatri, di non far perdere a te e a quanti come te, la possibilità di essere aiutati subito a non cadere in quella terribile malattia che oggi sta divorando tanti di voi.


domenica 16 novembre 2014

Domande di attualità in tema di autismo

“Dottore, ma è vero che l’autismo è dovuto ai vaccini?”
“Mi hanno detto che chi è autistico non può mai guarire”.
“Molti affermano che non ha senso privarsi di determinati alimenti in presenza di autismo. E’ vero?”

Ecco, basterebbero queste tre domande per riempire pagine e pagine di articoli sui rispettivi temi.
Vorrei trarre spunto da questi impegnativi quesiti per porre l’accento su un altro aspetto del problema, non meno importante e non meno trascurabile agli occhi degli interessi di chi si pone e ci pone queste domande. Mi riferisco infatti al ruolo del medico che si trova davanti a interrogativi tanto forti, posti dai familiari di bambini così duramente colpiti da una patologia come quella autistica.
Ciascuno dei temi in questione, vede già delineati, ormai da anni, schieramenti praticamente definibili “pro” o “contro” i vaccini (ne va della salute di milioni di bambini che stanno nascendo e crescendo), pro o contro le diete nell’autismo, inclini o non inclini a credere nelle possibilità di “uscita” dall’autismo.
Indipendentemente dalle opinioni personali dei singoli sanitari riguardo a queste enormi problematiche, credo ci si debba preliminarmente soffermare su un diritto/dovere di ogni medico e operatore del settore: maturare delle opinioni proprie, non dettate dai “sentito dire”, non condizionate da chi regge dall’alto i fili del presunto “sapere ufficiale”, non corrotte dal denaro di lobbies farmaceutiche o di altre industrie che sostengono posizioni e tendenze a seconda dei rispettivi e opposti interessi.
Un medico favorevole ai vaccini, dovrebbe essere tale perché convinto dell’eventuale innocuità e dei benefìci dei vaccini, non perché incentivato economicamente dalle case farmaceutiche, o perché fanaticamente schierato senza aver mai veramente verificato la lesività o la non pericolosità di tali pratiche.
Chi afferma che le diete prive di glutine, caseina, soia e mais, nell’autismo non servono a niente e non sono “scientificamente validate”, dovrebbe trovare conferma delle sue affermazioni nella pratica quotidiana, nella verifica sul campo, e non su quanto affermato aprioristicamente da chi preferisce non sforzarsi nemmeno a verificare la propria posizione di chiusura verso il nuovo e il cosiddetto “non convenzionale”. Dopo di che, si assumano pure posizioni favorevoli o contrarie, ma sulla base di verifiche concrete e non di affermazioni teoriche.  
Lo stesso dicasi per quelli che io definisco “seminatori di negatività e di disperazione”, ossia i sostenitori dell’impossibilità di superare lo stato di autismo. La presenza di bambini, ragazzi, uomini, in passato diagnosticati autistici (e, si badi bene, non c’era errore di diagnosi, come vigliaccamente alcuni insinuano) e oggi non più gravati dai sintomi di quella patologia, sono una realtà visibile agli occhi di tutti. Negarne l’esistenza, negare che provenissero da quella situazione, negare che chicchessia possa “uscire dall’autismo”, è una atto di terrorismo psicologico, culturale, morale. Con questo non voglio asserire che tutti gli autistici possano cessare di essere tali, o che con la crescita non abbiano o non possano avere altri problemi, ma di qui a dire che lo status di autistico, tale è e tale è immutabilmente destinato a rimanere, credo sia una forma di cattiveria oltre che di ignoranza.

mercoledì 5 novembre 2014

Autismo come...

Autismo come...
Disprassia? Dispercezione? Deficit cognitivo? Disturbo comportamentale?

Ogni singola definizione delle quattro che ho proposto, identifica, almeno nella maggior parte dei casi di autismo, una realtà indiscutibile, ma non sempre unica espressione dei deficit riscontrabili in questo tipo di patologia. In ambito terapeutico riabilitativo, la maggior parte (se non la totalità) dei cosiddetti “metodi”, parte dal presupposto -a mio parere incompleto e quindi erroneo- che un autistico sia tale perché disprassico, o perché dispercettivo, o perché comportamentale, o perché carente a livello integrativo… e così via ponendo come chiave di lettura in partenza, uno solo dei deficit sopra menzionati. Esistono, infatti, “metodi sensoriali”, “metodi comportamentali”, “metodi cognitivi”, e così via dicendo, secondo un’ottica che non ho mai condiviso, perché sono sempre partito dal presupposto che autismo sia nello stesso tempo dispercezione, disprassia, deficit cognitivo (più o meno evidente), disturbo comportamentale. Per molti, invece, la chiave di lettura di partenza o prevalente nel disturbo autistico, è da considerarsi un’inadeguatezza di uno solo degli elementi costituenti il cosiddetto profilo comunicativo di un individuo, da cui le visioni diagnostiche e le iniziative terapeutiche prevalenti, che tendono ad investire prioritariamente in una singola area di un quadro che in realtà è più variegato e più complesso. Ed invece, peraltro anche da un punto di vista clinico, mi sembra di poter affermare, e non solo in riferimento al campo dell’autismo, che in tutte le situazioni di disabilità, sia sempre più teorico, e quindi meno reale, il riscontro di disturbi puri, o, come si suol dire, “specifici”. In ogni soggetto portatore di handicap, comunicopatico, coesistono quasi sempre diverse patologie di deficit (comorbidità), configurandosi di conseguenza quadri clinici complessi, all’interno dei quali occorre che il diagnosta si cimenti innanzitutto in una sorta di mappaggio delle definizioni delle disabilità, nonché nella ripartizione proporzionale delle differenti forme di inadeguatezza prestazionale. Sono solito, pertanto, parlare di autistici prevalentemente disprassici, autistici prevalentemente dispercettivi, autistici prevalentemente comportamentali, autistici prevalentemente compromessi sul piano cognitivo. Ma in ciascun autistico, pur prevalendo deficit più specifici di una determinata area del profilo comunicativo, comunque coesistono, in misure e proporzioni diverse da caso a caso, o da gruppi di casi a gruppi di casi, carenze riferibili ad ognuna di quelle aree. In una visione ancora più ampia e quindi non necessariamente collegata al solo autismo, credo che si possa affermare che ogni quadro di comunicopatia riferibile ad un più o meno esteso danno a carico del sistema nervoso centrale, porti in sé, e quindi rappresenti, quasi sempre più di una delle prototipie patologiche descritte nel nostro catalogo nosologico. Riportiamone i quadri sindromici:  Disfonie o turbe della vociferazione.  Disfagie o disturbi della deglutizione. Dislalie o alterazioni della pronuncia. Afasie o turbe della codificazione e decodificazione. Disfluenze o turbe del flusso verbale. Disartrie o turbe da alterazioni del primo motoneurone. Ritardi secondari o turbe comunicative negli oligofrenici. Disturbi dell’apprendimento. Sordità e conseguenti turbe comunicative. Turbe comunicative da autismo, altre psicosi, e da inadeguatezze socioculturali. Sindromi da deficit attentivo con o senza iperattività.