lunedì 11 aprile 2016

Quale futuro per gli autistici?

Articolo pubblicato sulla rivista on line "scenamedica.it":
Si può parlare di uscita dall’autismo? Ma soprattutto, se si esce dall’autismo, dove si entra?
Fino a circa dieci anni fa, cioè a due terzi del cammino trentennale percorso nel mondo della diagnosi e delle terapie degli autismi, mi ponevo solo la prima domanda. E fino a quando non ho cominciato ad intravedere una risposta a quel primo interrogativo, non poteva ovviamente nascere la seconda questione.
Poi ho cominciato a riscontrare con grande piacere e soddisfazione (non solo mia ma anche dei terapisti e soprattutto delle famiglie dei nostri assistiti) che in una percentuale sempre crescente di soggetti affetti da autismo, i sintomi di questa pesante patologia andavano effettivamente ad estinguersi nel tempo, grazie agli effetti di terapie sempre intensive e strutturate a misura di ogni singolo caso. Da non verbali, diversi bambini autistici diventavano verbali, acquisendo sempre maggiori e migliori capacità linguistiche; a mano a mano uscivano dall’isolamento di quel mondo chiuso tipicamente autistico, e cominciavano a comunicare, interagire, giocare, integrarsi; progressivamente estinguevano le stereotipie (movimenti ripetuti e non finalizzati); acquisivano le autonomie nel vestirsi, lavarsi, alimentarsi, controllare gli sfinteri, spostarsi da soli fuori casa; e a scuola non erano più isolati nella relazione e nello svolgimento dei programmi diversificati, ma cominciavano a somigliare sempre di più a tutti gli altri.
Insomma, per molti di loro si è potuto parlare di superamento delle sintomatologie autistiche, di estinzione dei segni caratterizzanti la patologia autistica.
Bambini dunque normalizzati? Ecco le basi della seconda domanda.
Non più autistici, non più portatori dei sintomi dell’autismo, ma nemmeno perfettamente rientrati in una prestazionalità completamente normale. Per molti di loro persistevano disturbi linguistici, di tipo grammaticale, sintattico, o fonologico (vale a dire errori di grammatica e sintassi, vocabolario scarno e inadeguato, difetti di pronuncia), o ancora riscontravamo forme di balbuzie, eloquio lento, monotono, poco variato sul piano della melodia vocale. I rendimenti scolastici, per quanto migliorati rispetto allo zero assoluto caratterizzante i primi anni di sintomatologia, comunque non risultavano dei più brillanti, così come la capacità di comprensione di materie più sofisticate sul piano elaborativo mentale, come la filosofia, la religione, la fisica, dove cioè occorrono operazioni cognitive più complesse.
Ma soprattutto si rendevano particolarmente evidenti le anomalie comportamentali, da una semplice più accentuata timidezza e difficoltà ad allacciare veri e propri rapporti di amicizia, a più clamorosi disturbi della condotta, della socializzazione e della gestione della sessualità.
Qui potrei dire che finisce la storia e inizia la cronaca; si passa dal passato remoto e prossimo, al presente e al futuro. Quali prospettive possiamo ipotizzare per questi ex bambini, ex autistici, ex bambini autistici, che oggi, adolescenti o già quasi adulti, stanno entrando in una vita reale, relazionale, affettiva, sessuale, lavorativa, non più autistici, ma nemmeno perfettamente e completamente attrezzati per affrontare le ben note difficoltà che li attendono?
Su questi fondamentali aspetti del “dopo di noi” stiamo impostando programmi educativi e preventivi, impostati soprattutto sulla base dei riscontri di ciò che resta dell’autismo, proprio quando questo si estingue nei suoi aspetti caratterizzanti e distintivi, ma lasciando tracce diverse, subdole, insidiose per il futuro, per un futuro normale, in cui “chi ha avuto l’autismo”, vogliamo che non si ritrovi con altre problematiche invalidanti e limitanti, sia pure non autistiche.