sabato 25 giugno 2016

Ci risiamo: "E' presto per iniziare la logopedia". Ecco la frase madre di tutte le cretinate


“Buongiorno Dottore, le telefono per disdire l’appuntamento che avevo preso con lei per farle visitare mio figlio, di tre anni, con sospetto di autismo. Il motivo è questo: l’ho portato a visita presso una clinica universitaria di un’altra città, e lì mi hanno detto che innanzitutto non è chiara la diagnosi, e poi, in ogni caso, è presto per iniziare la logopedia, perché il bambino, pur essendo privo di linguaggio, risulta disattento, iperattivo e aggressivo; dunque la logopedia non servirebbe ancora”.
La mia risposta:
“Cara Signora, non sarò certo io a convincerla a venire ugualmente a visita da me, perché non devo reclutare clientela, bensì limitarmi a informare e a mettermi a disposizione di chi vuole consultarmi, purchè convinto dell’utilità di rivolgersi a me. Tuttavia, rispondendo alla mia coscienza di professionista e di uomo, le dico soltanto che:
1. Una diagnosi non chiara, è problema di chi dovrebbe saper formularla, e non del paziente e delle caratteristiche della sua patologia. Oltretutto, io distinguo sempre la diagnosi clinica (definizione della sintomatologia, alla quale è doveroso saper dare un nome), dalla diagnosi anatomopatologica (identificazione degli organi e apparati alterati), da quella etiologica (individuazione, se mai avverrà completamente, delle cause del problema); e una diagnosi clinica è dovere e competenza di un medico del settore, saper formularla, a prescindere dalla solita sarabanda di analisi e indagini avviate spesso a caso o secondo protocolli standard non personalizzati.
2. La frase “è presto per iniziare la logopedia”, identifica la madre di tutte le cretinate che si possono dire in riabilitazione, dove il “presto” non dovrebbe mai esistere. Accetterei più un errore diagnostico, un’indicazione terapeutica diversa da quella che realizzerei io, ma non un rinvio di una qualsivoglia iniziativa rimediativa di un problema.
A questo punto, credo sia superfluo anche aggiungere che la logopedia non è riservata solo a chi è attento, bello, bravo, buono e disponibile; ma, anzi, più che mai andrebbe indicata proprio a chi, oltre a non parlare, difetta anche in attenzione, comportamento, partecipazione… Una logopedista capace deve saper lavorare soprattutto in situazioni simili.
Buona fortuna, Signora, che Dio assista suo figlio, visto che gli scienziati dell’università di (omissis) se ne sono dimostrati ampiamente incapaci, rispondendole e dissuadendola in quel modo”.

venerdì 24 giugno 2016

Corso formazione aggiornamento su autismo e altre patologie della comunicazione

Sabato 11 giugno 2016, si è concluso a Napoli il corso di formazione aggiornamento per medici, terapisti, operatori della riabilitazione, insegnanti, genitori, organizzato con la Fondazione Govoni, sul tema AUTISMO E ALTRE COMUNICOPATIE. Un punto di partenza, non di arrivo, perché nei prossimi mesi e anni occorrerà continuare a studiare ed aggiornarsi, per essere il più possibile all'altezza del compito di genitori terapisti educatori di soggetti con autismo o altre patologie del linguaggio e della comunicazione.

venerdì 17 giugno 2016

Negligente ripetitività “internazionale”

Ginevra, un giorno di maggio.
Eccomi di nuovo, come ogni mese, una settimana al mese, ormai da anni, in una città straniera ad insegnare come lavoriamo nella riabilitazione dell’autismo, e ad accogliere altre famiglie con bambini in ritardo o assenza di linguaggio (probabilmente nello spettro autistico) per visitare il loro piccolo, definirne la diagnosi, e soprattutto impostare il programma dei provvedimenti terapeutici.
Cambia la lingua che parlano i miei interlocutori, cambia la struttura dei luoghi, il clima, il numero dell’autobus o del tram, cambia il tipo di cibo che fugacemente consumo durante la pausa…, ma tutto il resto rimane spaventosamente uguale.
E’ perfettamente sovrapponibile a quanto accade a Milano, come a Napoli, come a Padova, il momento in cui i genitori del bambino cominciano a raccontarmi ciò che loro credono sia utile riferirmi, e non piuttosto rispondere con maggiore attenzione e precisione alle mie domande. E’ terribilmente sovrapponibile a quanto accade nelle sedi italiane, il cercare, da parte dei genitori, di trovare sempre una giustifica, una motivazione, a ogni deficit o mancata acquisizione di abilità da parte del figlio. E’ sconfortante e sempre deludente, sentir raccontare (come in altre migliaia di volte) che quando i genitori del bambino avevano esternato al pediatra le loro perplessità circa il ritardo di sviluppo del loro piccolo, il pediatra aveva risposto di non preoccuparsi e di attendere…
E’ spaventosamente uguale a quel che accade in altri studi, l’apprensione delle mamme a lasciar “digiuni” i figli (“sono ben due ore che non mangia, posso dargli qualcosa che ho portato con me?”), per poi tirar fuori dalla borsa pappine super omogeneizzate e sminuzzate, ai cui bocconi il bambino fa seguire concitate sorsate di acqua attinta da un biberon maledettamente in uso da ormai molti anni…
E’ tristemente irritante sentirmi obiettare ancora una volta che le terapie che propongo sono severe, non sarebbero gradite al bambino che “ormai ha le sue preferenze, le sue abitudini, i suoi rituali, le sue modalità comunicative” (quasi sempre non verbali!), e così via con una serie di posizioni e convinzioni che si pongono in totale antitesi con i princìpi di una riabilitazione fatta di perseveranza, costanza, fermezza, rispetto delle regole, assidua aderenza alle consegne.
A Ginevra come a Napoli, a Milano, a Verona, a Padova, a Palermo, a Casablanca, in Lussemburgo…, resta sempre troppo elevato il numero di famiglie che, in modalità suggestivamente uguale e ripetitiva, arretra davanti a proposte terapeutiche che richiedono un impegno serio e costante, così come, a monte, restano sempre alte le percentuali di sanitari impreparati che minimizzano e rinviano diagnosi e iniziative curative, piuttosto che sensibilizzare i genitori a prendere iniziative per un intervento rimediativo precoce.
Non mi resta che ripetere raccontando in altre lingue, la stessa sostanza di un discorso breve ma chiaro, secondo il quale, solo una presa in carico immediata, tempestiva, competente, sempre aggiornata, e realizzata senza titubanze e pietismi, può aiutare un bambino autistico a venire fuori da quella condizione.

venerdì 3 giugno 2016

Logopediste escluse ma che si autoescludono in partenza


Mi scrive una logopedista:
Dottore buonasera. Mi rincresce non aver potuto partecipare al suo corso, ma quest'anno ho avuto un po’ di difficoltà organizzative...però mi faccia sapere le nuove date e cercherò di fare il possibile per esserci. Detto ciò volevo condividere con lei un fenomeno che ultimamente vedo verificarsi tra i miei pazienti. Ho avuto modo di vedere diversi bambini tra i 2 anni e mezzo 3 con sospetta diagnosi di autismo o comunque disturbo generalizzato dello sviluppo... non verbali. Li ho inviati come da routine dal neuropsichiatra per poter intraprendere l'iter diagnostico... Alla fine del percorso le diagnosi erano conferma dei miei sospetti...ma l'incredibile e che a 3 bambini su 4 hanno detto di interrompere la logopedia e di fare 4 volte a settimana terapia cognitivo comportamentale… con metodo… Ora...io mi chiedo... perché???? E come è possibile che diano indicazione di non fare la logopedia perché non è di primaria importanza per il linguaggio?? Io rimango allibita e senza parole...
Questa la mia risposta:
Buonasera, la mia risposta alle sue legittime perplessità, ha radici multiple, che spero di esporre in modo chiaro e sintetico: Innanzitutto, perché l'invio "come da routine" al neuropsichiatra e non al foniatra? Personalmente, come foniatra, sono molto più portato di un neuropsichiatra a indicare una presa in carico logopedica e non una terapia "cognitivo comportamentale" (che poi che significa?) peraltro condotta da operatori spesso improvvisati, e con competenze inferiori ai logopedisti. Ma, e qui viene un secondo punto, i logopedisti si fanno trovare davvero più preparati e all'altezza della situazione? Terzo punto: credo di no, almeno nella maggior parte dei casi. Vede, la contraddizione è anche questa: i logopedisti vorrebbero maggiori spazi e attenzioni, ma si rivolgono loro per primi agli alleati meno adatti (i neuropsichiatri). Perché io organizzo -ormai da venti anni- corsi continui di formazione e aggiornamento? Proprio per dare possibilità di trovare maggiori spazi "logopedici" nella riabilitazione, dalla voce artistica all'autismo, dalle paralisi cerebrali alle balbuzie, dai disturbi di apprendimento alle sordità... e così via. Ma se i logopedisti per primi si autolimitano e non saldano meglio i rapporti con foniatri come me, accade e accadrà sempre più spesso ciò che lei mi ha riferito in questa mail. Seguire i miei corsi, non deve essere visto come un accontentare me, ma come il trovare spazi, ambienti, situazioni e occasioni per valorizzare al massimo le proprie competenze (logopediche) e il proprio lavoro. Sono sempre stato il più forte alleato e sponsor della logopedia, ma... non profeta in patria! Cordialmente.

Massimo Borghese